La Carmelitana
Devo legare la bicicletta. La posso mettere fuori, all’esterno del cortile di facoltà. Ma me la rubano sicuro.
Devo trovare un posto dentro il cortile, magari che possa vederla dall’aula dove faremo l’esame di anatomia.
Alessandro Volta, tu che hai inventato il generatore elettrico, dal tuo piedistallo in centro, folgora chiunque provi a rubarmela, perché questo è il mio mezzo, questa è la Carmelitana”

— Storie di pedali arrugginiti

L’Architetta
No… questa non va bene. Questa neanche. Questa mi pare troppo vecchia. Questa? Mah troppo fuoristrada.
E’ un’ora che giro su questo sito e non ho ancora trovato niente.
E’ che sono troppo deconcentrato. Al lavoro mi stanno massacrando. Fortunatamente che per quell’edificio siamo alla snagging list , e poi finalmente il collaudo.
E questa? Con la A impressa come Architetto!!!
Che sella!!! Dovrò comprare un cuscino…
Il collaudo… quando lo fissiamo… magari tra una settimana… ce la posso fare? Devo vedere l’agenda.
Basta… click… non posso più perdere altro tempo. E’ mia. E’ l’Architetta!

— Storie di pedali arrugginiti

Rollmar
Mi piace perché ha le scritte rosa. Come la maglia rosa che adesso ha Marco… forse aveva… io non ho capito quello che è successo.
Come si chiama quel posto. Che sembra una parolaccia.
Sì! Madonna di Campiglio.
Dicono che sia un imbroglione.
Io non ci credo.
Non può avere quella faccia sofferente quando va su per le salite, non può avere quegli occhi.
Lui non ha imbrogliato.
Vola Marco, vola ancora e vola anche tu in rosa, la mia Rollmar

— Storie di pedali arrugginiti

La Ferruccia
Io di quel giorno ricordo solo quel politico che non la smetteva più. “Al di là di ogni retorica” e giù un fiume di parole, la scuola, la bontà, l’educazione, l’istruzione etc, etc, etc
Noi non ci capivamo molto, ma mi ricordo che non eravamo così attenti e ci davamo dei pizzicotti, ridendo, sperando che la maestra Piera non ci beccasse.
Ci stavano dando il “Premio della Bontà”, a tutta la classe, per una ragione che oggi pare un po’ strana.
Per averti aiutato… noi a te… Roby.
Non penso che avessi bisogno di così grande aiuto, soprattutto quando mi tiravi i pizzicotti.
In quel caso te la cavavi benissimo.
Sindrome di Down. Solo per questo ci avevano dato sto premio. Perché avevi la sindrome di Down! Mi viene da sorridere adesso e penso ancora ai tuoi pizzicotti.
Ho deciso a distanza di tanti anni di tenerti con me e di dedicarti il nome di questa bicicletta. La chiamerò ricordando il tuo cognome, eccola, la mia Ferruccia.

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L’Adrianina
Non so se ce la faccio stavolta. Già dopo la corsa non stavo molto bene. Adesso devo recuperare un po’. Magari mangio una banana.
Quanto fango. Cacchio, la curva! E chi l’aveva vista!
Devo rialzarmi in fretta. Scivolo nel fango. Mi alzo, ho il fango sugli occhi.
E Gabriele sarà già avanti dopo il ponte.
Odio il Duathlon. Ma chi mi ha costretto?
Ripendiamo, dai Adrianina, aiutami tu.
Niente, altra caduta. Oggi non è giornata…

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La Michelina
Eppure ero così convinto.
Ogni giorno venti kilometri, almeno…. per tenermi in forma, perché un po’ di attività all’aperto fa bene, perché se ci riesce Vincenzo che è più vecchio di te…
Ci credevo!
Solo che a me la bicicletta non piace!
Quindi dopo due settimane ho saltato un giorno, un altro ho trovato una scusa, e adesso è una settimana che sono fermo.
E non mi sento neanche in colpa!!!
Cara Michelina, penso che la nostra storia sia arrivata alla fine.
Quasi, quasi ti regalo alla ciclofficina.

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La Pina
Io me le ricordo. Ce n’erano due in particolare. Completamente diverse tra loro. Una era infantile, trovava sempre il meglio nelle cose, rideva, era allegra. Aveva solo una voce petulante ma guardarla metteva serenità.
Si aveva la sensazione che tutto potesse andare sempre bene, che i pericoli non fossero veramente pericoli ma piccoli intoppi che con l’aiuto di tutti, sempre tutti molto sorridenti e gentili, avrebbero trovato presto una loro soluzione.
Mai un litigio, mai un amico che ti tradisce, solo tanta allegria e tutti che ridono.
L’altra …. l’altra? Una tragedia. Un mondo opaco, grigio, che Blade Runner a confronto è il carnevale di Rio.
Una sfortuna dietro l’altra. Morte sempre presente, e piccoli animaletti che soffrono lo stress e che arrivano a sera con lo sguardo spento e sofferente degli impiegati del catasto.
Sono loro… sono i cartoni della mia infanzia. L’ape Maia e l’ape Maga.
Ed è per loro, che ti ho chiamato così. Vai La pina, gialla e nera, sii tutte le api del mondo, in questo momento di difficoltà

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Saltafoss
Quante volte rischio durante il giorno.
Basta distrarsi un attimo, pensare a quella notizia che ti ha tanto colpito, e a un certo punto non vedi che l’auto davanti ha sterzato senza mettere la freccia.
E’ veramente un attimo… ma perché oggi sento tanto l’idea della morte così vicina.
E’ che non ci penso mai, ma oggi ce l’ho qui, fissa nel cervello.
Forse per quello che è successo, forse per quelle persone cadute in un attimo.
Ho visto una vignetta. Faceva vedere questa funivia che si involava nel cielo e poi un fumetto di un bambino che diceva “Guarda papà, è altissima”.
All’inizio mi ha commosso.
Poi mi sono un po’ arrabbiato. E’ una rappresentazione quasi allegra della morte, come se avesse senso morire a dieci anni su una funivia, con tutto quel colore azzurro tenue intorno, nella vignetta intendo, come se fosse un gioco.
Mi ha disturbato.
Vai Saltafoss, portami a casa sano e salvo … almeno per oggi.

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Rosella
E’ l’ultima bici di mio padre.
E’ la bici da donna che ha dovuto “accettare” dopo l’operazione al cuore.
La sua da uomo era troppo alta e avrebbe richiesto un’agilità che in quel momento non aveva.
Ma lui non voleva rinunciare ad andare in bici e io e mio fratello gliela comprammo quando ancora era ricoverato.
Ciao Rosella, porta lo spirito di Sergio in ciclofficina.
Elena Monti

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Welker
Mio papà Sergio è nato nel 1931 in una casa di Via Verona, in Borgo Rovereto, ad Alessandria.
Lavoratore dell’Arfea, non ha mai preso la patente e si è sempre spostato in bicicletta, da solo, o con me, bambina, sullo stangone.
La welker è stata l’ultima sua bicicletta da uomo e le era molto affezionato e non ho mai avuto il coraggio di regalarla.
Lo faccio oggi per la ciclofficina Ri-cyclo.
Elena Monti

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Candy Candy
Non era il fatto che sembrava saperla sempre lei. Non era neanche la sua aria sottomessa, le succedeva qualsiasi sfortuna e niente, lei era sempre sorridente pronta a perdonare le peggiori malefatte. No, non era neanche questo…
Non era neanche il fatto che non ci fosse mai un combattimento interstellare, con delle lame rotanti o altre diavolerie.
La cosa che mi disturbava di più era il finale aperto.
Ora io ho sempre guardato gli Astrorobot. Una puntata degli Astrorobot è un inno alla semplicità, con un meccanismo e un canovaccio sempre uguale.
Breve introduzione con vita quotidiana dei protagonisti, attacco del nemico che sembra ogni volta potercela fare, risposta dei bravi, finale allegro.
E da lì non si scappava.
Ora vedere un cartone come Candy Candy in cui il finale non si risolveva, ma si doveva attendere le puntate successive, a me mandava totalmente in bestia.
Neanche Silver, la mia bicicletta tutta blu, con le mollette ai raggi mi poteva consolare.

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Grigi in B
Cinquant’anni che mi affaccio da questo balcone. L’ultima volta in B era il 1976, avevo solo cinque anni ma me la ricordo ancora adesso. Qui nello stesso posto. Che fortuna avere il balcone che affaccia sullo stadio, pensavo da bambino. Meglio di una tribuna, più in alto, si possono vedere tutte le partite prima di Sky, Dazn, abbonamenti.
Dal mio posto in prima fila, gratis a parte il muto alla banca, sorrido di tutto ciò.
E quest’anno finalmente potrò di nuovo rivedere la serie B. Non riesco ancora a crederci.
Ho preparato già la postazione.

“Arturo, ha telefonato l’amministratore. Dice che i lavori del 110 inizieranno a inizio settembre. A fine agosto metteranno su l’impalcatura. Dureranno fino a giugno”

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Mou Tand
Questo è il nome della mia bicicletta: Mou Tand, con lo spazio in mezzo. E’ un nome indiano, non indiano dell’India, ma indiano pellerossa, della tribù dei Sioux. Vuol dire bicicletta ruota 26 con freni a bacchetta. E’ fantastico come gli indiani riescano a condensare intere frasi con una sola parola.
Mi ricordo ad esempio Alzata con pugno di Balla coi lupi, quel film con Kevin Costner, in cui lei veniva chiamata così perché … perché … va beh non ricordo bene perché ma non è importante.
La cosa importante è che questa bicicletta proviene direttamente dai pellerossa Sioux…
Sì, lo so, che sto inventando tutto…
Il fatto è che la mia bicicletta si chiama così… perché… un pomeriggio di aprile… mentre era parcheggiata in Piazza Santo Stefano, tornando, mi sono accorto che da sotto la sella, spuntava un lembo di stoffa.
Mi sono avvicinato, ho cercato di capire cosa fosse, ho tirato il lembo e piano piano, lentamente ho estratto un indumento intimo femminile!
Non ho mai saputo chi lo avesse infilato lì sotto e perché.
Ho pensato però di tenerlo lì, sotto la sella, come una reliquia.
Vai Mou Tand, nome pellerossa che vuol dire indumento intimo femminile sotto la sella

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Novembre 94
Mario Autelli
Calciatore
Tre stagioni all’Alessandria dal 28 al 31. Due stagioni al Casale dal 32 al 34 … va beh nessuno è perfetto.
Poi Palermo a 1000 kilometri di distanza.

E negli anni 80 lo vediamo in Piazza d’Armi ad Alessandria, a giocare con alcune bambine e bambini del quartiere.
“Signor Mario, ci passi la palla!”
Ce l’ha sempre lui, incollata a quel piede sinistro come quando giocava.
E gli viene incontro il bambino più piccolo, che gli tira la giacca e gli chiede “Signor Mario mi hanno detto che eri un calciatore. Ci porti le maglie?”.
E Mario sorride. E pensa che quelle maglie non può più mostrarle perché non le ha più.
Perché durante la guerra, nelle cascine di Valmadonna con gli sfollati che vengono dalla città a causa dei bombardamenti, fa freddo.
Cascine umide, la legna è merce rara, i bambini tremano dal freddo.
Mario sente un rumore di forbici, di tessuto che si strappa.
Entra nella stanza e Pia sta tagliando le sue maglie, le grigie alessandrine, le nere casalesi, le rosa palermitane, adesso le squadre sono tutte sorelle, non c’è più rivalità, tutte diventano vestiti per i bambini. “Tanto a te non servono più no?”
E Mario sorride.
Perché per Mario la vita è saper dare importanza alle cose giuste.
Come per esempio dopo l’alluvione del 94, tirare su la sua bicicletta dalla cantina, ripulirla meticolosamente e rinominarla Novembre 94.
“Abbiamo passato due guerre, passeremo anche questa”

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Deca
Con un deca non si può andar via. Cantavamo a squarciagola alla festa finale della stagione salesiana. E io ti ricordo così, a 17 anni, Miriam, mentre canti, felice, accanto alla tua bicicletta rossa.
Per me sei sempre così, anche se adesso non vai più in bicicletta, anche se il tuo sguardo è perso, abbattuto dalla situazioni, dai casi, dal tempo.
Quando veramente le cose cambiano? Quale è il momento preciso in cui il destino ci trasforma?
Cosa e in quale momento ci fa perdere l’entusiasmo, la capacità di meravigliarci, che cosa piano piano ci spegne?
Andiamo a ballare, sì dopo la festa finale della stagione salesiana, immaginiamo di avere ancora 17 anni, illuminami con il tuo sguardo di allora, non aver paura di essere semplicemente bambina.

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Incatenata
Questa bici era di mia mamma che la usava per girare in città. Usava sempre la bicicletta, andava al mercato di Piazza Garibaldi, a fare la spesa.
Poi è passata a mio padre. Mio padre era un appassionato di bici e ha usato la bici da corsa per molti anni.
Usava questa bicicletta per le piccole commissioni in città.
Quando è mancato, la bicicletta ha riposato in garage per almeno cinque anni e adesso sono contentissima se può avere una nuova vita

Maria Teresa

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Gambalonga
Bicicletta donata da Marco Bassani. Questa è la bici di Mario, suo padre. Ha 30 anni. E’ stata usata da Mario per tantissimi anni per le sue commissioni, per il lavoro e per andare da Cabanette in città. E’ ancora in ottimo stato e spero che possa far felice qualcun altro.

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Excalibur
Da bambino ero affascinato dai miti e leggende della saga di Re Artù.
Il re ragazzino che unico al mondo riesce a estrarre la spada dalla roccia e a dinventare re unico.
Solo molti anni dopo la frase sarebbe diventata la spada nella doccia improbabile sponsor della trasmissione satirica Radio Illegale, fatta con Gli Illegali, ma questa è un’altra storia.

Intendiamoci Artù era saggio, ideò il primo parlamento della storia, ma io ero affascinato dalla figura di Lancillotto.
Un cavaliere senza paura, ma condannato a vivere nella disperazione eterna a causa del suo amore impossibile per la regina Ginevra.
Capace di percorrere un ponte tagliente per andare a salvarla, con i piedi quasi amputati e quando è davanti a lei, non può fare altro che chinare leggermente il capo in segno di saluto e sorridere tristemente guardandola andare via da Re Artù.

Anche Viviana era appassionata della spada nella roccia. A dire il vero non la saga, ma il cartone animato che trasmettono sulle reti RAI a Pasqua. Pasqua 1996 avevo 25 anni, Viviana 26 e non era riuscita a vedere il suo cartone animato preferito a Pasqua.
Allora ero riuscito a registrarlo su una videocassetta e ne avevo fatto una copia.
Mando la videocassetta a Viviana via posta senza dire niente.
Passa un giorno, due giorni, tre giorni, un mese. Io e Viviana ci vediamo in compagnia ma lei non mi dice nulla della videocassetta.
Allora dopo un mese e mezzo gliela rimando e dopo due settimane Viviana, guardandomi distrattamente, mi dice.

Grazie per la videocassetta, però che palle, è arrivata due volte.

Ma questa è un’altra storia.

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Fausta
A me il nome di Fausto Coppi ricorda una domenica mattina primaveril, quando a Novi viene organizzato lo spettacolo teatrale di Faber Teater, Il campione e la zanzara.
Ora se non avete mai visto Il campione e la zanzara, correte subito! Informatevi! Guardate la prossima data sul sito di Faber Teater, loro sono bravissime e bravissimi e lo spettacolo è fantastico a cominciare dalla sua originalità. Tutti in bicicletta, attrici, attori, regista, e pubblico per uno spettacolo itinerante.

Io e Tes siamo attirati da questa formula. Sono anni che andiamo in bicicletta, a volte unico bambino della sua scuola. Andiamo in bici a scuola, poi per qualche arcana ragione la bici non può essere lasciata nel cortile scolastico e allora io me la porto indietro, sulle spalle.
E così quel giorno di primavera decidiamo di andare in bici partendo da Alessandria.
Saliamo sul vagone traporto bici ed in fondo al treno su un tratto di binario che è quasi all’esterno della stazione.
Il vagone ha i ganci per le bici in alto. Tiro su la bici di Tes abbastanza agevolmente, la mia invece pare di attaccare al muro un elefante. Rimaniamo nel corridorio e dopo cinque minuti arriva un gruppo di adolescenti che si siede nel vagone bici.

Quindici minuti dopo dobbiamo scendere, ma adesso il vagone bici è pieno di adolescenti, seduti ovunque, sdraiati.
Prendo la bici di Tes con qualche difficoltà facendomi largo tra queste gambe e braccia disarticolate attaccate come esseri mitologici a smartphone di nuova generazione.
La mia è fagocitata da un gruppo che non mi ha neanche notato.
E mentre il treno sta arrivando, comincia a salire l’ansia e all’improvviso scoppio e urlo “Allora ve ne jate sì o no!! echccazz!!!” in completo idioma napoletano.

Scesi dal treno, Tes “Tutto bene papà?”… “Tes a volte tuo padre si trasforma in un suo gemello poco sereno. Tu abbraccia entrambi…”

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Frozen Blue
E’ vero che i cartoni non hanno differenze di genere, ad esempio quando ero piccolo vedevo tranquillamente Bia la sfida della magia oppure Candy Candy o Anna dai capelli rossi, ma Frozen, Teseo non ha mai voluto vederlo.
Ora non so bene il perché. Non conosco la storia e quindi non posso averlo influenzato io ma non c’è stata mai alcuna possibilità.
A Teseo è sempre piaciuto Cars. Ora io ricordo la prima volta che Teseo vide Cars, quando fu amore a prima vista.
Fino a quel momento eravamo sempre stati molto attenti al fatto che Teseo avesse un approccio con il mezzo televisivo sereno, tranquillo.
Qualche Peppa Pig, dei Barbapapà di annata, una Pimpa rilassante, insomma ritmi blandi come una partita di fine stagione sotto un caldo soffocante.
Fino a quella giornata di inizio primavera. Avevamo appena finito di mangiare e Teseo si era guadagnato la sua minima razione di televisione. Ero riuscito ad avere un DVD di Cars – motori rombanti. Non conoscevo questo cartone e io e Tes ci mettemmo a guardarlo con curiosità.
Ora voi sapete come inizia Cars… Saetta si prepara per la gara finale, esce dai box e comincia una sequenza ad altissima velocità con auto che sfrecciano da sinistra a destra, incidenti mortali, scorrettezze, testa coda fino a un gran finale con un fotofinish al cardiopalma.
Teseo guarda la televisione completamente rapito con gli occhi sgranati comprendendo in quel momento che un altro mondo dei cartoni è possibile… il suo rapporto con la televisione non sarà mai più lo stesso.

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New generation
Giocavamo tutto il giorno. Nel cortile di casa nostra al quartiere Cristo ogni pomeriggio si radunavano circa 15 tra bambine e bambini provenienti da tutto il quartiere. “Dopo le quattro di pomeriggio, Gigi, perché prima non si può. Lo dice il regolamento di condominio”
E così alle quattro di pomeriggio cominciavo a scendere le scale, dal quarto piano facendo i gradini a due a due, correndo, volando, verso una nuova giornata entusiasmante.
Arrivano in cortile, aprivo il portone e cominciavo ad aspettare.
Dopo un po’ ecco Fabrizio, poi Massimo, poi Francesca e Gianluca, poi Simona, Patrizia, Isabella e tanti altri nomi di semplici passanti, trasferiti in quella via per il tempo di un’estate e poi volati via.
E dopo un po’, prendevo la mia new generation, con i cartoncini attaccati con le mollette ai raggi per fare rumore, e volavo nel vento scortato dal resto del gruppo, la faccia perfino troppo serio per essere così schifosamente felici.

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Azzurra
Per prima venne Azzurra. Era il 1983, io avevo 12 anni e tra una partita di calcio e l’altra, seguivo con qualche interesse le avventure di questa barca che avrebbe dovuto essere affondata da equipaggi molto più esperti e in teoria talentuosi ma che concluse con un onorevole terzo posto.
No, non c’erano ancora le dirette in TV, quelle sarebbero venute molti anni dopo con Il Moro di Venezia e Luna Rossa.
Ma io seguivo le avventure di Azzurra sulla Gazzetta, con un giorno di ritardo perché le gare si svolgevano a Newport negli USA.
Gli italiani popolo di navigatori, ma spesso in preda alla nausea e al mar di mare anche su una piccola bagnarola, si appassionarono tutti insieme e dal giorno successivo alla prima regata, si potevano sentire discussioni particolari nei bar su come usare il fiocco oppure come cazzare la randa.
Il culmine si ebbe 9 anni dopo. Era il 1992 e con Il Moro di Venezia cominciarono quelle lunghe dirette televisive che iniziavano a mezzanotte e finivano alle quattro di mattina. Spesso non si capiva chi era davanti, e molto spesso c’erano infinite fasi di stanca in cui ti sembrava di venire cullato dalle onde del mare e inevitabilmente finivi per addormentarti.
Ma il meglio successe il 19 febbraio del 2000. A causa di uno sciopero dei giornalisti la regata di Luna Rossa venne mandata in onda senza commento.
Per ore in un silenzio irreale rotto da qualche voce isolata, vedemmo alternativamente la nostra barca e quella avversaria avanzare tra i flutti, mentre si sentiva solo lo sciabordio delle onde sugli scafi.
Feci la migliore dormita della mia vita.

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Jaime
Mi ricordo le lucciole e i canti dei grilli e delle cicale in una zona della città ancora dominata dalla campagna e dai campi prima dell’urbanizzazione selvaggia degli ultimi anni.
Ce ne stavamo ore a guardare le stelle dondolandoci sull’amaca in giardino.
A volte mi addormentavo io, a volte si addormentava lei mentre parlavamo.
Il suo viso sicuro, rilassato, sapendo che me ne sarei stato lì, tranquillo, che non avrei mai potuto avvicinarmi per baciarla.
E infatti rimanevo così, a fissarla, stupito da tanta bellezza e rilassato.
Facevamo così tutte le sere.
Quando entrambi eravamo svegli, parlavamo, tanto, tantissimo come non avevamo mai fatto con nessuno, e alla fine io riprendevo la mia bicicletta, la mia Jaime, come l’avevo soprannominata e tornavo a casa inebriato dal suo profumo di sandalo.
Era amore? Non lo sapevamo, non ce lo siamo mai chiesti.
Durò solo un’estate, poi ci sentiamo, ti chiamo io, sì certo, a presto…

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Jaime pas
Era l’ultimo anno delle superiori ed era tantissimo tempo che glielo volevo dire ma … niente … non ci ero mai riuscito.
E dire che di occasioni ne avevo avute.
Quella volta davanti alla palestra, o quella domenica ai giardini della stazione dopo una delle nostre sporadiche passeggiate in bicicletta.
Ma per una ragione o per un’altra non lo avevo fatto.
Il fatto era che io pensavo ci fosse qualcosa di male nel dichiararsi, come se dovessi vergognarmi, e nascondermi.
Ma un giorno, eravamo in Piazza Mentana e tutto sembrava a posto. Avevamo finito una delle passeggiate, eravamo seduti su una panchina e guardavamo in silenzio un orizzonte coperto dalle mura squadrate del Bar Nene.
“Senti…”, “sì?”, “a me piacerebbe dirti…”
“Guarda ho già capito, io non l’ho mai vista in questo modo”
Cioè non è che non corrispondesse quello che provavo io, non l’aveva mai preso in considerazione, come non aveva mai preso in considerazione andare a Timbuctù o partecipare a un corso di balestra tibetana.
E fu quel giorno che finalmente seppi come chiamare la mia bici … j’aime pas

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Diavolo rosso
Il film si chiamava “Il vento fa il suo giro” di Giorgio Diritti.
Renza era eccitatissima ed entustiasta perché erano mesi che me ne parlava e non era riuscito a vederla al cinema, beh AL CINEMA maiuscolo, il cinema per eccellenza, il Macallé di Castelceriolo.
Lei sapeva tutto di questo film, trama, attrici soprattutto quelle sconosciute, ambientazione.
Io mi ero accontentato di uno sguardo su Wikipedia dove si diceva che fosse basato su una storia realmente capitata a Ostana e osservata dallo sceneggiatore Fredo Valla. Il titolo riprende un proverbio occitano, col significato di “tutto ritorna”.
Insomma finalmente Renza avrebbe potuto vedere il suo film al circolo Il Diavolo Rosso di Asti. Ovviamente a vederlo siamo in cinque, non è che proprio spinga le masse…
Quasi alla fine del primo tempo, quando oltre a primi piani di sguardi intensi è successo poco altro, il film si interrompe brutalmente.
Buio in sala per cinque minuti, poi si accende una luce e il gestore del locale un po’ timidamente annuncia che la copia del film è rovinata e non sarà possibile continuare la proiezione.
Renza è sull’orlo della disperazione, ma usciamo ridendo. “Sai come chiameremo la nostra prossima bicicletta? Diavolo rosso!”

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Emostatica
Un aeroplanino. Rosso, Con le ali bianche. Di metallo. Era questo il premio dopo ogni prelievo del sangue.
Me lo dava mia mamma, quando saremmo usciti dall’ambulatorio prelievi.
Avevo circa sei anni e facevo un prelievo ogni due settimane per controllare quello che chiamavano reumatismi.
Mia mamma mi portava in autobus mostrando il volto della pazienza e della bontà.
E quando ero lì, sempre la stessa infermiera, con le stesse bugie.
“Dai che stavolta non farà male, dai che ci metto un attimo, dai che uso un ago leggero”
E invece 3,2,1 buco… comincia il sudore freddo, la voglia di girarsi verso l’ago, la mano libera davanti agli occhi, pensieri positivi, la gita al mare con gli arancini di riso da mangiare a pranzo, mio padre con gli occhiali da sole, vestito di tutto punto…
“E’ finita cuor di leone”
Ma il momento peggiore era questo. Un buco allo stomaco, un senso di nausea.
Mia mamma lo conosceva bene, prendeva subito un pezzo di focaccia dalla borsa e me lo metteva in bocca prima che potessi reagire.
Emostatica, con il tuo lucchetto a chiudere ruota e pedali come appunto un laccio emostatico, vai e suscita felici ricordi nella tua nuova vita!

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Fiorin Fiorelli
Fiorin Fiorello è il titolo di una canzone degli anni 30. Non ho mai ascoltato le canzoni della prima metà del 900. Non me ne sono mai interessato fino a quel giorno… quando Massimo il regista del nostro spettacolo Alessandria 44, che raccontava un episodio della città al tempo della Repubblica di Salò, ci chiese di realizzare una delle scene del mio personaggio.
Ora… il mio personaggio è un repubblichino e mi metto a cercare alcuni canti dell’epoca fascista e mi imbatto in “L’occhio del duce brilla”, orrenda, ovviamente, canzone del periodo buio.
Costruiamo la scena e il canto viene mantenuto e diventa parte integrante dello spettacolo.
Mesi dopo una delle nostre repliche si svolge al Laboratorio Sociale di Via Piave. Quando arriva il momento di cantare, conoscendo gli amici del laboratorio, un po’ di remora ce l’abbiamo, ma cantiamo a squarciagola come abbiamo sempre fatto.
Alla fine, dopo lo spettacolo, si avvicina Claudio, uno dei responsabili e sorridendo ci dice “Non sono mai stato così sereno nell’aver sentito una canzone fascista qui dentro” e ridiamo insieme.

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Top bike
Top bike … Top Gun usciva nelle sale il 1986. Io avevo 15 anni. Non ho molti ricordi di quel film. Ho dei ricordi di quel periodo quando, in piena guerra fredda, i film americani ci bombardavano, promuovendo lo strapotere della potenza americana. Rambo, Rocky e molti altri.
Ma noi… noi ci difendevamo con i film di casa nostra, con una visione disincatantata della realtà che veniva presentata nei film di Bud Spencer e Terence Hill.
Da bambino non andavom molto al cinema ma mi ricordo di aver visto Rocky IV, sì quello di ti spiezzo in due, e Io sto con gli ippopotami, due film agli antipodi, caratteristici di quel periodo.
In entrambi i casi i cinema erano pressoché vuoti, una caratteristica che nel tempo non sarebbe cambiata molto.

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